Allevamenti

Gli allevamenti sono dei veri e propri lager che impediscono agli animali il soddisfacimento dei loro più fondamentali bisogni etologici. Lo spazio è talmente ristretto che nella maggior parte dei casi gli animali non possono neppure girarsi su sé stessi. Permettere loro di muoversi è antieconomico perché aumenterebbe lo spazio necessario per ogni capo e perché gli animali devono usare tutte le loro energie per ingrassare il più velocemente possibile. La loro sofferenza è irrilevante perché sono considerati beni di consumo la cui unica importanza è data dal valore economico della loro carne.

Le mucche da latte sono selezionate geneticamente ed inseminate artificialmente per produrre quanto più latte possibile. Dall’età di circa due anni, trascorrono in gravidanza nove mesi ogni anno. Poco dopo la nascita, i vitelli sono strappati alle madri (provocando in entrambi un trauma), perché non ne bevano il latte, e rinchiusi in minuscoli box in cui non hanno nemmeno lo spazio per coricarsi. Ai vitellini non viene concesso neppure un giaciglio di paglia: rende difficile la pulizia e, qualora la mangiassero, la loro carne diventerebbe meno tenera e meno gradita agli esigenti consumatori della fettina. Sono alimentati con una dieta inadeguata apposta per renderli anemici e far sì che la loro carne sia bianca e tenera e infine sono mandati al macello. La mucca verrà quindi munta per mesi, durante i quali sarà costretta a produrre una quantità di latte pari a 10 volte l’ammontare di quello che sarebbe stato necessario, in natura per nutrire il vitello. Non sorprende che ogni anno un terzo delle mucche sfruttate nei caseifici soffra di mastite (una dolorosa infiammazione delle mammelle). A circa 5 o 6 anni d’età, ormai esausta e sfruttata al massimo, la mucca verrà macellata. La durata della sua vita, in natura, sarebbe stata di circa 20 anni

I maiali subiscono un “trattamento particolare”: da piccoli vengono castrati senza anestesia perché altrimenti, da adulti, la loro carne assumerebbe un sapore troppo forte per i palati degli amanti del prosciutto. Poi viene tagliata loro la coda e limati i denti: lo stress degli allevamenti intensivi fa impazzire gli animali che hanno comportamenti psicotici aggressivi e senza questi “accorgimenti” si morderebbero la coda reciprocamente.

Le pecore sono le uniche a vivere per lo più all’aperto, ma sono tosate in maniera brutale in pieno inverno, e sono costrette a sopportare i rigori dell’inverno senza la protezione naturale del loro mantello

Gli agnellini maschi sono uccisi a poche settimane di vita, specialmente in occasione delle festività pasquali. Inoltre le pecore sono costrette a figliare continuamente e, non appena sono meno produttive, vengono macellate.

Alle galline ovaiole, prima di entrare nelle gabbie, viene tagliata una parte del becco per evitare che lo stress le induca a beccarsi a morte. In seguito vengono ammassate all’inverosimile una sull’altra dentro a gabbie anguste: nello spazio di una pagina di quotidiano devono vivere quattro animali adulti. Le loro ali si atrofizzano a causa dell’immobilità forzata, mentre le loro zampe crescono deformi a causa del contatto della griglia di ferro della pavimentazione.

Negli allevamenti che producono galline ovaiole, i pulcini maschi (inutili al mercato in quanto non in grado di produrre uova, né adatti alla produzione di carne di pollo) sono gettati vivi in un’apposita macchina tritacarne per diventare mangime.
Non appena la produttività delle galline diminuisce sotto il livello fissato, sono sgozzate per diventare carne di seconda scelta.

I polli da carne non godono certo di un trattamento migliore: sono allevati in capannoni affollatissimi, fino a 10-15 polli per metro quadrato, sotto la luce sempre accesa, perché crescano in fretta. A 45 giorni vengono ammazzati, mentre in natura potrebbero vivere fino a 7 anni.
La stessa sorte tocca ai tacchini. Le oche sono ancora più sfortunate, perché vengono sottoposte al “gavage”: immobilizzate, vengono ingozzate con un imbuto fino a che il loro fegato si spappola, per produrre così il famoso “paté de foie gras”.

I pesci spesso non sono nemmeno considerati animali, occupano un gradino ancora più basso nella scala dell’umana compassione. Eppure, i pesci provano dolore, molti di loro hanno sistemi nervosi complessi, alcuni, come il polpo, sono particolarmente intelligenti e capaci di compire attività elaborate. Un terzo dei pesci pescati in tutto il mondo viene ributtato in mare dopo morto, perché di scarto, in quanto appartiene a specie considerate non commestibili. Oltre ai pesci pescati in mare, si va diffondendo sempre di più l’acquacoltura, cioè l’allevamento intensivo di pesci, in cui questi animali vengono tenuti in spazi ristrettissimi. Nelle vasche delle aziende ittiche la densità arriva fino a 7 tonnellate di pesce ogni 50 mq. Negli allevamenti di trote 400 individui si dividono 1 metro cubo d’acqua. Per evitare infezioni e parassiti ai pesci vengono somministrate dosi massicce di antibiotici e altri farmaci. Residui chimici e farmaci passano all’uomo attraverso la catena alimentare. I pesci muoiono asfissiati, in una lenta agonia, muta, perché non siamo in grado di sentirli. A volte arrivano nei banchi delle pescherie ancora vivi a terminare la loro agonia tra il ghiaccio. I crostacei, come le aragoste, vengono poi bollite vive nelle pentole dei consumatori.

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