Cattura e prigionia

Gli animali che abitualmente vedete rinchiusi nelle gabbie degli zoo, esibirsi sulla pista del circo oppure dormire nei terrari e sui trespoli dei negozi o nuotare negli acquari, non appartengono a specie create dall’Uomo per la cattività ma vengono catturati nel loro ambiente naturale.

I metodi utilizzati per la cattura si rivelano cruenti e prevedono in alcuni casi anche l’uccisione di quegli individui che tentano di difendere i propri cuccioli o gli altri componenti del branco.

I trafficanti, approfittando della condizione di povertà degli abitanti locali, li convincono, per pochi soldi, ad imprigionare e consegnare esemplari, spesso appartenenti a specie in via di estinzione.

Dopo la cattura, gli animali vengono ingabbiati per giorni senza cibo né acqua in attesa del viaggio che li porterà al commerciante occidentale.

A causa dello stress, della denutrizione e dei comportamenti aggressivi dovuti al sovraffollamento delle gabbie, giunge a destinazione soltanto un numero di animali compreso fra il 10 ed il 50% di quelli stivati a bordo di navi ed aerei. Molti esemplari non sopravvivono nemmeno alla cattura ed alle fasi immediatamente successive.

Una volta giunti a destinazione gli animali si trovano a dover affrontare condizioni climatiche differenti e, soprattutto, un’alimentazione inadeguata. Lo stress è talmente forte che alcuni animali, prevalentemente nei circhi e negli zoo, si lasciano morire d’inedia.

I pesci cardinale, pescati nei fiumi del Sud America, vengono smistati nei centri di Bogotà e della Florida. Restano a digiuno anche per due settimane. Trasportati in aereo dentro sacchetti pressurizzati, ne arriva a destinazione neanche il 5%.

I pesci pagliaccio, vengono pescati nei mari tropicali utilizzando false barriere coralline. Ne arriva a destinazione negli acquari europei meno della metà.