Da più di un secolo, il primo giorno di maggio è l’occasione per celebrare la sofferta conquista dei diritti dei lavoratori, la dignità del lavoro e la lotta contro lo sfruttamento. È una giornata che ci invita a riflettere sull’importanza della libertà e della giustizia, ma in un’ottica drammaticamente antropocentrica.
Se parliamo di chi viene sfruttato senza tutele, senza voce, senza alcuna possibilità di ribellarsi, è impossibile non pensare agli animali. Loro non possono scegliere, non firmano contratti, non ricevono compensi, non godono di tutele: semplicemente, vengono quotidianamente sfruttati come fossero strumenti, piegati ai bisogni umani nei circhi, nei laboratori, nei trasporti, nell’agricoltura e, ovviamente, negli allevamenti intensivi – dove, loro malgrado, finiscono col diventare essi stessi un “prodotto”.

Il loro lavoro non è una libera attività, ma una condizione imposta attraverso la sofferenza, la costrizione e, troppo spesso, la morte. Cavalli costretti a trainare carrozze sotto il sole cocente, animali esibiti in spettacoli che ignorano la loro natura, individui ammassati in capannoni in condizioni insostenibili, in attesa di finire al macello: tutto questo rappresenta una forma brutale di sfruttamento, tanto più grave perché priva di qualsiasi forma di tutela.

Se il Primo Maggio chiediamo che nessun essere umano sia più costretto a subire condizioni disumane, allora dobbiamo chiedere con la stessa forza la fine dello sfruttamento degli animali non umani. Mentre lottiamo per i diritti dei lavoratori della nostra specie, non possiamo dimenticare che esistono milioni e milioni di altri “lavoratori” che non hanno mai chiesto di esserlo.

Il Primo Maggio sarà veramente la “festa dei lavoratori” solo quando inizieremo a lottare anche per la liberazione degli animali, per la tutela dei loro diritti e della loro vita, affinché nessun essere vivente sia più ridotto a mero strumento di fatica o a merce di consumo.
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