Di Alessandra Ferrari

Catturati per soddisfare ricchi annoiati che li vogliono sfoggiare come “suppellettili esotici”, uccisi volontariamente per mangiarne le carni, privati del loro habitat per far posto a coltivazioni intensive, imprigionati e sfruttati fino allo sfinimento per imparare ridicoli numeri da strada per intrattenere i turisti e poi abbandonati a morire di stenti. I primati non umani, che condividono con l’essere umano quasi il 98% del patrimonio genetico, sono oggi una delle specie più a rischio di estinzione. Secondo il rapporto biennale Primates In Peril, pubblicato dalla Global Wildlife Conservation a fine 2017, il 62% delle oltre 700 specie e sottospecie conosciute di scimmie, lemuri e altri primati, stanno attualmente affrontando gravi minacce per la loro sopravvivenza e ben il 42% è in pericolo o in grave pericolo.

Un’approfondita analisi sulle cause arriva dallo studio “Impending extinction crisis of the world’s primates: Why primates matter”, pubblicato a inizio 2017 su Science Advance da un team internazionale di 31 primatologi, ed evidenzia che se non verranno messe in atto misure per contrastare il fenomeno, entro 25-50 anni gran parte dei primati non umani saranno estinti. I due esperti che hanno guidato il team, Alejandro Estrada e Paul Garber, hanno sottolineato che “l’impatto maggiore sulla sopravvivenza dei primati è rappresentato dall’espansione dell’agricoltura.  Le pratiche agricole perturbano e distruggono l’habitat vitale del 76% di tutte le specie di primati del pianeta. In particolare, la produzione di olio di palma, la produzione di soia e gomma, l’abbattimento di alberi e l’allevamento stanno spazzando via milioni di ettari di foresta. Trivellazione di combustibili fossili e attività minerarie si aggiungono alla lunga lista degli attacchi alle foreste di tutto il mondo e ai loro abitanti primati.

Subito in coda alla distruzione dell’habitat, il bracconaggio è l’altra grande piaga che sta decimando le scimmie, nonostante la caccia, l’uccisione, la cattura o il commercio delle parti del corpo dei grandi primati siano illegali in tutti i Paesi in cui sono presenti questi animali, grazie a leggi nazionali e internazionali che li tutelano. I paesi che ne fanno maggiore richiesta sono Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Libano, da cui partono gli “ordini” per esibire gli esemplari in gabbia. In Asia gli animali sono in genere destinati a zoo e attività di intrattenimento. Da ovunque provenga la domanda, l’offerta parte dall’Africa, soprattutto quella meridionale ed occidentale, dove i cacciatori agiscono liberamente a causa della debolezza della polizia locale, spesso collusa. I governi africani stanno iniziando a lavorare insieme per combattere il fenomeno inasprendo le pene e stringendo le maglie dell’applicazione delle leggi vigenti. Al momento infatti le condanne per questi crimini sono ancora rare e la corruzione dei funzionari preposti al controllo rappresenta, purtroppo, un ostacolo spesso insormontabile.

Gli innumerevoli ambiti di sfruttamento delle scimmie

Purtroppo le immagini delle scimmie arrampicate sugli alberi impegnate a mangiare un frutto o a interagire con gli altri membri del loro gruppo sociale sono sempre più rare e anche l’immaginario collettivo vira su scene che, nonostante la diversa ambientazione, hanno come elemento comune la ridicolizzazione o lo sfruttamento della scimmia.

Vestiti da clown o da bebè nella culla. Rinchiusi in recinti tutto il giorno a dondolarsi su pneumatici appesi come altalene di fronte a bambini che fanno loro le boccacce. Terrorizzati negli stabulari come cavie fatte ammalare forzatamente e poi “addormentate” quando non più utili alla ricerca. Sfruttate e torturate fino allo sfinimento per imparare ridicoli numeri da strada per intrattenere i turisti. L’elenco, purtroppo, potrebbe continuare ancora a lungo. Sono davvero moltissimi, infatti, gli ambiti in cui i primati non umani vengono privati della libertà e maltrattati per le più bieche finalità.

Per ottenere un adulto mansueto e più facilmente addestrabile, le scimmie vengono preferibilmente staccate molto presto dalla madre, in modo da togliere loro ogni possibilità di sentirsi sicure e protette, causando indicibile stress e vere e proprie psicosi. La relazione tra la madre e i cuccioli, infatti, è forte in tutti i primati, come dimostrato dai mostruosi esperimenti condotti nel 1958 da Harry Harlow, considerati pioneristici in ambito psicologico e sociologico.

Per dimostrare che l’attaccamento del neonato umano alla madre non è solo condizionato dal bisogno di nutrimento, ma anche da quello di sicurezza e affetto, Harlow condusse una serie di studi sui cuccioli di macaco separandoli precocemente dalle madri e mostrando, tra le altre cose, che il bisogno di vicinanza e protezione era così forte da indurre i cuccioli a cercare il contatto di finte “madri surrogate” – ovvero fantocci di legno inseriti nelle loro gabbie – anche quando queste rilasciavano loro dolorose scosse.

All’epoca nessun limite etico o legale ha impedito la tortura di questi cuccioli, tuttavia pare non ci sia stata una grande evoluzione etica se nel 2019 diverse investigazioni di associazioni animaliste realizzate sotto copertura hanno testimoniato come centinaia di piccoli di scimmia siano ancora oggi sottoposti, senza alcuna necessità scientifica, a deprivazione materna, isolamento sociale e svariati esperimenti traumatici crudeli. In nome di una scienza inesistente, se non come giustificazione per placare – forse – le coscienze dei ricercatori, ma anche per vergognose forme di intrattenimento, come le scimmie “ballerine” o “motocicliste” nel sud-est asiatico.

In Indonesia, la Jakarta Animal Aid Network ha realizzato un’indagine sotto copertura per documentare i soprusi che i macachi devono sopportare durante l’addestramento per far guadagnare uomini senza scrupoli che le usano come intrattenimento per i turisti. Il metodo di cattura più comune è quello di sparare alla femmina adulta per impossessarsi del cucciolo, strappandoglielo letteralmente dalle braccia. Rivenduti poi nei mercati, i cuccioli vengono acquistati da privati che li comprano per esibirle in spettacoli itineranti. In entrambi i casi vengono sottoposte al taglio dei canini e infilano loro una catena al collo che non gli toglieranno più e che ovviamente causerà dolore e malattie infettive. Vengono poi appese a testa in giù per insegnargli a camminare in posizione eretta, alimentate solo se eseguono gli ordini e poi chiuse in casse di legno dalle quali non possono interagire con i loro simili. Questo isolamento le turba profondamente perché i macachi, come tutti i primati, sono creature che necessitano di vivere inserite in un gruppo sociale.

I rapporti sociali hanno importanza vitale per le scimmie che mettono in atto comportamenti complessi, mostrando grandi capacità collaborative e spirito di cooperazione, come emerso dalle ricerche sugli scimpanzé e i bonobo di Frans De Waal, etologo e primatologo che ha dedicato la sua vita allo studio dei primati non umani. Non solo: De Waal ha condotto uno studio sul senso di equità premiando, in prima battuta, due scimmie cappuccino che avevano eseguito lo stesso compito con un pezzetto di cetriolo (cibo che le scimmie mangiano ma di cui non sono ghiotte), poi premiando una delle due con un acino di uva (cibo che adorano) mentre l’altra ancora con il cetriolo. Irritata dall’ingiustizia subita, la seconda scimmia lancia il cetriolo contro il ricercatore e si arrabbia esigendo un acino d’uva e protestando ogni volta che la vicina lo riceve mentre lei no.

Quale può essere l’impatto dei maltrattamenti descritti su animali dalla psiche così complessa? Lo scopriamo attraverso il sofisticato e importante lavoro della dottoressa Mariangela Ferrero, psicoterapeuta esperta in miglioramento di benessere psico-sociale nei primati, che abbiamo intervistato per portare su queste pagine uno spaccato di vita con i primati non umani che non si racconta tutti i giorni: qui la sua intervista