Le feste popolari

Se si pensa che la crudeltà dell’uomo verso l’animale debba pur avere un limite si commette un grosso errore. Per smentire quest’idea è infatti sufficiente pensare alle sagre, alle feste e ai palii in cui vengono sacrificati animali di ogni specie. In molti luoghi si continuano, con cadenza regolare nonostante le proteste delle associazioni animaliste e di chi ha un minimo di buon senso e sensibilità, a perpetuare uccisioni e torture nei confronti degli animali in nome di una non meglio precisata “tradizione”. Pensare che sia necessario celebrare il passato con anacronistiche rappresentazioni basate sulla negazione dei valori di umanità e civiltà, valori che dovrebbero caratterizzare il ventesimo secolo, è davvero aberrante. Quello che emerge da questi scempi legalizzati non è altro che la prevaricazione della razza umana sulle altre, nonché la profonda ignoranza che purtroppo ancora oggi ci caratterizza.
I tempi non sono evidentemente maturi per mettere in discussione la liceità degli allevamenti, dei trasporti e della macellazione, né tanto meno della pesca o della caccia, ma stupisce che ancora non lo siano per mettere al bando queste consuetudini brutali, inutili e sadiche dove il divertimento consiste nel piacere, fine a se stesso, di torturare, ferire e uccidere un animale indifeso.
La crudeltà non ha confini e in quasi tutti i paesi possiamo trovare esempi di manifestazioni di questo genere. Sotto gli occhi di tutti, da sempre, c’è la corrida, tradizione tanto cara al turista che si reca nella penisola iberica. Questo “spettacolo” sopravvive oggi grazie al turismo, in quanto la maggior parte degli spagnoli (82%) è contraria a questa inutile crudeltà, tanto che dal 2008 Barcellona si è dichiarata città anti-corrida. In Catalogna poi i tori non sono un simbolo nazionale come nel resto della Spagna e la corrida non è uno spettacolo molto diffuso tra la popolazione. L’anima animalista ha vinto sulla tradizione anche in altre 20 città della Catalogna, che di fatto hanno deciso di chiudere le arene.
Tuttavia in Spagna vengono ancora messe in scena circa 600 corride che vedono il sacrificio di ben 16.000 tori, immolati in nome di una tradizione che sarebbe più opportuno chiamare con il suo vero nome: il profitto. Questo massacro di massa, tradizionale non solo in Spagna, ma anche in Portogallo e nel Sud della Francia, viene finanziato dallo Stato in cui si svolge e perfino dall’Unione Europea.
Quella che viene spacciata per una “nobile lotta alla pari tra l’uomo e l’animale” in realtà non è altro che una farsa. Nella corrida, come è ormai risaputo, c’è tutto tranne una condizione di parità tra il torero e il toro. Prima di entrare nell’arena il toro viene infatti drogato e sottoposto a purghe per indebolirne le forze, viene percosso sulle reni con sacchi di sabbia, gli viene messa vaselina negli occhi per annebbiargli la vista, gli viene infilata della stoppia nelle narici e nella gola per impedirgli di respirare e gli vengono limate a vivo le corna, scoprendone i nervi, in modo da rendergli doloroso l’atto di incornare.
Il torero poi non è mai solo nell’arena, ma è circondato da banderilleros e picadores, che colpiscono il toro con banderrillas (arpioni) e picas (lance) per procurargli emorragie e stordimento. A spettacolo concluso il toro viene trascinato via agonizzante e gli vengono tagliate, mentre è ancora vivo, coda, orecchie e testicoli, che il torero mostrerà in arena come trofeo.
La domanda sorge spontanea: dov’è allora la nobile lotta tra l’uomo e l’animale? Quale può essere la giustificazione per un massacro simile? Viene da chiedersi anche quale sia la giustificazione per le oltre 1.000 manifestazioni popolari e tradizionali con animali che si svolgono ogni anno in Italia, per lo più a carattere patronale, equamente distribuite tra le regioni della penisola. Tra queste troviamo competizioni di cavalli (Palio di Siena, Palio di Feltre, Palio di Asti e altri), corse di buoi (Puglia, Molise), gare tra asini (Premosello, Masera, Galliate, S. Maria a Monte, Cembra, Calliano, Castelsilvano, Benetutti, Alba e tantissime altre località), eventi agonistici in cui maiali, struzzi, agnelli, anatre e oche (queste ultime a Como, Montagnano, Lacchiarella, San Miniato) e anche rane (San Casciano Bagni), sono costretti a competere.
Una forma meno palese, e perciò forse più subdola in termini di crudeltà, è rappresentata dall’accanimento competitivo su animali già uccisi allo scopo di fungere da elemento centrale del “gioco”. Come a Santa Maria di Sala, nella veneta Stigliano, dove i neodiciottenni della parrocchia gareggiano per staccare con le mani la testa a un’oca appesa morta a una forca improvvisata.
E’ opportuno ricordare che queste manifestazioni devono essere autorizzate in ambito locale per poter avere luogo, ed è proprio questo il cavillo che permette tuttora di organizzarle. Alle amministrazioni locali è infatti sufficiente riconoscere alla manifestazione il carattere “storico-culturale” per renderle legittime, scavalcando di fatto gli articoli 544-bis e 544-ter del Codice penale che puniscono i maltrattamenti, le uccisioni e l’uso di doping nei confronti di animali. Articoli che dovrebbero essere superiori a qualsiasi eventuale riconoscimento di valore “storico” o “culturale” dato alla manifestazione.
Le corse che vedono involontari protagonisti gli asini, animali totalmente inadatti alla corsa, sono in assoluto le manifestazioni più numerose e diffuse in comuni grandi e piccoli di tutta le penisola. E quasi altrettanto diffusi sono i palii, ovvero corse di cavalli spinti al massimo delle loro velocità su tracciati urbani caratterizzati da curve strette, a volte con presenza di spigoli, protezioni rigide, fondo asfaltato o lastricato e nell’ipotesi migliore, ricoperti da terriccio collocato senza alcuna cognizione tecnica.
Le gare durano pochi minuti e sono sfide quasi all’ultimo sangue, che spesso vedono animali infortunarsi gravemente e che pertanto devono poi essere soppressi. Il frequente uso di farmaci dopanti, come vasodilatatori, antidolorifici o broncodilatatori, rende gli animali ingovernabili e pericolosi anche per fantini. Al Sud il fenomeno è aggravato dall’intervento della criminalità organizzata, che coglie in queste manifestazioni l’occasione per esibire il potere di controllo sul territorio e l’opportunità d’incrementare le scommesse clandestine.
Il Palio di Siena è senza dubbio il più famoso e celebrato evento italiano del genere. Si corre due volte all’anno (il 2 luglio e il 16 agosto). E’ una gara rischiosa e spesso teatro di incidenti: dal 1970 al 2007 sono morti oltre 50 cavalli, spesso feriti durante la gara e abbattuti lontano dalle telecamere, che diffondono lo “spettacolo” solo nei suoi lati folkloristici e di rievocazione storica, senza indugiare sulle conseguenze di una competizione spericolata.Dal punto di vista della prevenzione, qualcosa è stato fatto, anche se si tratta di briciole. A partire dal 2000 il Comune ha infatti adottato l’uso di alte protezioni in pvc in sostituzione dei materassi che proteggevano le curve, mentre il fondo del circuito è ora composto da una miscela di tufo, che viene monitorato per verificarne umidità e compattezza. Sono stati introdotti inoltre prelievi di sangue a campione sui cavalli, ma che lasciano il tempo che trovano visto che il controllo sanitario è effettuato dall’organizzatore della gara, cioè all’Amministrazione comunale, e non dall’ASL di competenza.
Le associazioni animaliste si battono da sempre contro la crudeltà del Palio. Il confronto è duro, perché la tradizione della corsa senese è estremamente radicata e tutelata in tutti i modi, in tutte le direzioni e a tutti i livelli della società. Non a caso intorno a questa manifestazione si è creato un giro d’affari elevatissimo, che si basa sul turismo e sulla vendita dei diritti televisivi.
L’OIPA ha condotto diverse battaglie anche su altri fronti per porre fine al coinvolgimento degli animali nelle sagre, ottenendo anche alcune vittorie, come nel caso del Palio di Alcamo. Nel 2007 infatti, in seguito all’esposto della sezione di Trapani e del Prefetto Finazzo, la manifestazione, che prevedeva una corsa di cavalli in un circuito cittadino improvvisato, è stata annullata. Esito positivo anche per l’edizione 2008 della Cavalcata di San Giuseppe a Scicli, dove l’OIPA è intervenuta per richiedere maggiori accorgimenti per la salvaguardia di uomini e cavalli come il transennamento di tutto il percorso della sfilata. Inoltre, con la collaborazione dell’Associazione Culturale Peppe Greco, l’OIPA ha assegnato il premio per miglior rapporto uomo-cavallo secondo tre criteri: la libertà di muoversi e di vedere senza ostacolo per il cavallo nonché il rapporto affettivo del cavaliere con l’animale durante la sfilata. La collaborazione tra tutte le parti in causa, compresi sindaco e amministrazione comunale, proprietari dei cavalli e le associazioni, hanno permesso di compiere un passo importante in tema di rispetto della vita di altre creature.
Nell’ottobre del 2012 un intervento delle guardie zoofile OIPA di Brescia ha fatto revocare l’autorizzazione per il Palio degli asini di Pontevico (BS), che è stato corso da cittadini che hanno trainato i carretti al posto degli asini.

E proprio il rispetto è il valore da trasmettere alle generazioni future, a tutti quei bambini che assistono continuamente, come se fosse la normalità, a episodi in cui vengono calpestati i diritti degli animali in nome della tradizione, del divertimento e dell’ignoranza. I genitori che portano i figli a questi eventi li esortano a una specie di curiosità interessata, mobilitando una forma di gradimento e di entusiasmo che i bambini tenderanno a sovrapporre allo spettacolo proposto. L’identificazione tenderà poi a incidersi nella loro psiche tanto che in futuro la visione di animali in analoga situazione evocherà i ricordi piacevoli a essi ormai associati nell’inconscio. Questa operazione avviene mentre contestualmente risulta negato l’aspetto importante della concreta sofferenza degli animali i quali, costretti a comportamenti violentemente contro natura, mandano una serie inequivocabile di segnali di irrequietezza, sofferenza, terrore. Cogliere tali segnali è frutto di osservazione e reagire a essi in modo empatico è alla base dell’educazione alla sensibilità.
Se le naturali emozioni di disagio, speculari a quelle provate dall’animale, si scontrano con l’allegra superficialità dell’adulto, il bambino si adeguerà allo stato mentale che gli viene richiesto. Anche gli psicologi si sono schierati contro tali eventi considerati altamente diseducativi tanto che gli Ordini di molte regioni italiane si sono attivati per ottenere la sottoscrizione di un documento che condanni ufficialmente gli effetti antieducativi di attività quali zoo, sagre e circhi.
Luoghi con animali che educano il bambino a non riconoscerne lo stato d’animo, a disconoscerne i suoi segnali di sofferenza, a reagire con gioia e divertimento al suo disagio: in pratica gli si propone un buon tirocinio per abituarsi a fare altrettanto con i suoi simili.
E’ per evitare questo e per salvare migliaia animali, colpevoli solo di non avere la possibilità di difendersi, che è necessario impegnarsi per contrastare queste brutte abitudini, tanto radicate quanto inutili, che portano l’uomo a regredire verso il buio dell’ignoranza piuttosto che verso la luce della civiltà.