Latte e uova: cosa spinge i vegani ad evitarli?

“Capisco la carne, ma il latte e le uova…” è l’obiezione più diffusa contro la decisione di evitare il consumo di derivati animali, considerati (erroneamente) prodotti cruelty-free.

Alla base della scelta vegan c’è il rifiuto di qualsiasi forma di sfruttamento animale, partendo dall’alimentazione. Per questo motivo, chi adotta questo stile di vita evita di portare in tavola non solo carne e pesce, ma anche i derivati animali come latte e uova. Questi ultimi sono considerati spesso ed erroneamente prodotti cruelty-free, perché la loro produzione non implica l’uccisione diretta degli animali… ma la realtà è ben diversa. 

Le mucche non sono animali “da latte” 

Dimentichiamo le pubblicità che ci mostrano pascoli immensi, spazi bucolici in cui le mucche trascorrono le giornate in attesa di donare il proprio latte all’allevatore, che le coccola e le vizia in un clima di serena complicità.
La produzione su larga scala è legata agli allevamenti intensivi, che di per sé sono incompatibili con qualsiasi concetto di benessere.
Bisogna poi sottolineare che
le mucche, come qualsiasi mammifero, producono latte solo dopo una gravidanza: non esistono “animali da latte” in senso stretto.
Per produrre latte, le mucche devono partorire un vitello, in un ciclo annuale estenuante, tra gravidanze indotte artificialmente e separazione dai cuccioli. 
 

 

 

Appena nati, infatti, i vitelli vengono allontanati dalle madri per garantire che il latte sia destinato al mercato e non al loro nutrimento. Un atto non solo crudele, ma anche estremamente stressante sia per la madre che per il vitello.
Dopo la separazione, la madre viene impiegata per la produzione di latte. I vitelli maschi, inutili dal punto di vista produttivo, vengono mandati al macello; le femmine, introdotte nel ciclo di produzione del latte.
 

 

Lo sfruttamento intensivo e la morte prematura delle mucche 

L’allevamento intensivo, come qualsiasi altra forma di produzione industriale, è guidato dalle logiche del profitto. Questo significa per gli animali privazione della libertà, sfruttamento estremo e sofferenza, indipendentemente dai prodotti per cui sono allevati.
Le condizioni di vita innaturali a cui sono costretti, causano loro gravi problemi fisici: tra le patologie più comuni ci sono infiammazioni e infezioni alle mammelle, spesso trattate con antibiotici per garantire la continuità della produzione.
Una mucca che, in natura, potrebbe vivere oltre vent’anni,
in un allevamento intensivo viene macellata dopo soli cinque o sei anni, quando non è più in grado di produrre latte in quantità sufficienti. 

 

Uova: una produzione tutt’altro che innocua per gli animali

Nell’industria delle uova, uno degli aspetti più controversi riguarda l’eliminazione dei pulcini maschi. Si stima che ogni anno nell’Unione Europea vengano ancora uccisi crudelmente 330 milioni di pulcini maschi provenienti dall’industria delle galline ovaiole, in quanto considerati un sottoprodotto industriale che non genera profitti. Questo perché non depongono uova e la loro carne non è utilizzabile per il consumo umano. 

I metodi di uccisione più utilizzati sono la macinazione (detta anche “macerazione”) e la gassazione (asfissia con anidride carbonica), che causano estrema sofferenza agli animali. 

L’Europa ha a lungo discusso sulla decisione di fermare queste pratiche anacronistiche e crudeli, che effettivamente saranno vietate a partire dal 31 dicembre 2026 con l’attuazione del Regolamento CE n.1099/2009 (sebbene con alcune deroghe inaccettabili). Nel frattempo, milioni di pulcini continueranno a morire inutilmente, mentre le galline subiscono e subiranno una sorte non migliore. 

L’inganno delle uova da galline “allevate a terra” 

Le galline ovaiole, che sono allevate esclusivamente per produrre uova, sono soggette a condizioni di sfruttamento estremo. Negli allevamenti intensivi, sono spesso costrette a vivere in gabbie sovraffollate, senza la possibilità di muoversi liberamente, stipate in spazi talmente angusti da non poter nemmeno distendere le ali. A causa dello stress e della mancanza di spazio, le galline sviluppano comportamenti anomali – arrivando a ferirsi a vicenda – e gravi problemi di salute, come ossa fragili e perdita di piume. Gli spazi estremamente sovraffollati e la scarsa pulizia facilitano la diffusione di malattie, per le quali le galline non vengono certo curate, ma lasciate morire di stenti. Questa realtà riguarda ben il 92% delle galline allevate in Italia. 

Anche nel caso di uova da galline “allevate a terra” la situazione resta terribile: non ci sono le gabbie, ma migliaia di animali vivono stipati in capannoni enormi, senza mai vedere la luce del giorno.  

Nel momento in cui la loro produttività diminuisce, ancora molto giovani ma stremate dalle condizioni di allevamento, le galline vengono mandate al macello. 

Chi abbraccia la scelta vegan, rifiuta tutto questo in nome del diritto alla vita degli animali, abbandonando il consumo di latte, uova e di qualsiasi altro prodotto derivante da un essere vivente.