di Isabella Dalla Vecchia

A prima vista la Befana assomiglia a una strega: vola su una scopa, ride alla luna, ha le scarpe rotte e l’aspetto non è proprio quello di una fatina. Ti sei mai chiesto perché viene rappresentata proprio in questo modo? Innanzitutto, per risalire alla sua origine occorre andare indietro nel tempo, tra il X e il VI secolo a.C. molto prima del Natale cristiano quando, alla fine dell’inverno, avvenivano rituali propiziatori per la rinascita della natura. Il tutto era naturalmente legato al Sol Invictus (non ti sei ancora stancato nel sentirlo nominare?) e al momento in cui il sole, rinascendo, avrebbe riavviato il ciclo della rigenerazione.

Madre Natura, giunta al termine della sua vita, veniva immaginata come una donna anziana il cui aspetto, alla fine dell’anno, era proprio quello della Befana, ormai rinsecchita per via della siccità invernale, il cui gelo spaccava la terra creando delle profonde rughe nel terreno. Per questo motivo, ancora oggi, sono diffusi rituali in cui il fantoccio della Befana viene bruciato per eliminare ciò che è vecchio, in forza di ciò che è nuovo.

Le stesse scarpe rotte derivano a loro volta da antiche creature pagane dei boschi, come la “donna oca”, ancella con piedi palmati o comunque di uccello, personificazione di spiriti e demoni. Non a caso nell’immaginario collettivo sono celebri in Piemonte la regina Jana (derivazione da gennaio), in Sardegna la Maschinganna o la fata Janas, nel nord Europa la Kikimora, donne oscure dei boschi con i piedi di gallina che danneggiano le calzature, creando nel complesso una Befana con le “scarpe rotte”. Forse anche il fatto di volare indica questo profondo rapporto con gli uccelli.