9 gennaio 2012, Camugnano. Sulle rive del fiume Limentra, nell’Appennino bolognese, un lupo ferito da due diversi colpi di fucile riceve un massaggio cardiaco e la respirazione “bocca–bocca” dagli esperti del Centro Tutela e Fauna Esotica e Selvatica di Monte Adone. Colpito da 35 pallini di piombo di 4 mm, Navarre era stato recuperato in grave stato di shock mentre tentava di attraversare le acque gelide del fiume. Assiderato e paralizzato agli arti inferiori, rischiava di morire annegato. Sottoposto a numerosi esami diagnostici e a una terapia intensiva, dopo alcuni mesi di cure specialistiche, Navarre era pronto per essere rintrodotto in natura. Il 6 maggio, proprio quando era stato tutto predisposto per la sua liberazione, compreso il radiocollare che avrebbe dovuto monitorare i suoi spostamenti, Navarre muore per arresto cardiaco, nonostante i numerosi tentativi per rianimarlo.

La sua storia, resa nota con alcuni video molto commoventi, è rappresentativa del controverso rapporto tra uomo e lupo, un rapporto mutato più volte nel corso della storia e che soltanto negli ultimi decenni ha consentito al più affascinante e leggendario predatore di riconquistare i propri territori.
Le cure e l’assistenza specialistica che Navarre ha ricevuto durante la sua convalescenza erano impensabili soltanto alcuni anni fa. Perseguitato e denigrato come nessun altro animale al mondo, personificazione del “male” fino al secolo scorso, il lupo oggi è tutelato da leggi speciali nazionali e comunitarie. Il mito del “lupo cattivo”, protagonista indiscusso delle nostre paure infantili e presente ancora in molti detti e proverbi, sembra essere oramai un retaggio del passato.
Cambiata nel corso delle diverse epoche storiche, la rappresentazione del lupo nell’immaginario collettivo dei popoli è stata centrale nel garantire la sopravvivenza o nel determinare lo sterminio della specie.

Uomini e lupi: una convivenza conflittuale
Il lupo (Canis lupus) è un carnivoro predatore in grado di adattarsi a una grande varietà di ambienti e climi; questa sua peculiare caratteristica ha reso possibile la sua diffusione in tutto l’emisfero boreale. In Europa il lupo si è diffuso nella penisola iberica, nei Balcani e in Italia, dove è noto come lupo appenninico.
Quando i nostri antenati erano cacciatori e nomadi, la convivenza fra uomini e lupi era priva di conflitti grazie all’abbondanza di prede; presso i popoli cacciatori il lupo era ammirato come segno di forza e coraggio, spesso idolatrato al pari di una divinità.
I problemi iniziarono a sorgere quando l’uomo diventò stanziale, dedicandosi all’agricoltura e alla pastorizia. Fu la predazione del bestiame domestico da parte del lupo che segnò il declino di questo delicato equilibrio.
Già ai tempi dell’Impero romano veniva segnalata la pericolosità dei lupi nei confronti delle mandrie, tuttavia essi rappresentavano ancora segno di forza e fierezza. Il simbolo dell’antica Roma era una lupa, raffigurazione della fecondità, e nell’esercito chi portava l’emblema delle legioni era un soldato coperto dalla pelliccia di lupo, personificazione del coraggio.
Alcuni riti erano compiuti da sacerdoti travestiti da lupo, e i Lupercali erano dei festeggiamenti che si svolgevano sopra al Palatino, in una grotta detta Lupercal, in onore del fauno Lupercus, protettore del gregge dai lupi. In questa caverna si pensava che vi fosse il covo della lupa che aveva nutrito Romolo e Remo.

E’ con il Medioevo che la figura del lupo inizia ad assumere delle connotazioni negative fino a diventare, assieme ad altri animali (come gatti, serpenti e pipistrelli) l’incarnazione del “male”. Creatura pericolosa, legata a forze oscure e maligne, il lupo diventa lo strumento del demonio, mangiatore di anime e personificazione stessa del diavolo.
Le streghe cavalcavano i lupi per raggiungere il luogo del sabba, si accoppiavano con essi e davano vita ai lupi mannari, uomini dalle sembianze di lupo che spargevano terrore fra la gente.
E’ in questa epoca che iniziano a fiorire leggende e favole che hanno per protagonista il lupo, sempre in accezione negativa. Una delle più note è il fioretto intitolato “Come San Francesco liberò la città d’Agobbio (Gubbio) da un fiero lupo” in cui il santo, andando controcorrente, trasforma in Frate Lupo il “lupo grandissimo e terribile e feroce” che “non solamente divorava gli animali ma eziandio gli uomini”.
Per sterminare il lupo si usavano trappole e veleno ed è proprio nel periodo medievale che nasce la figura del “luparo”, un cacciatore specializzato nell’uccisione dei lupi.

“Al lupo, al lupo”: caccia al “sanguinario” predatore
L’abitudine di corrispondere premi in denaro per l’uccisione dei lupi ha le sue origini nella Grecia classica. Già nel VI secolo a.C., ad Atene, Solone aveva istituito un premio di 5 dracme per ogni lupo ucciso e di 1 dracma per ogni lupa. Nell’Italia tardo-antica del IV secolo d.C. si diffonde il mestiere del luparius, uno schiavo che aveva il compito di difendere i pascoli dagli attacchi dei lupi.
Durante il XVIII secolo i principali mezzi impiegati per uccidere il lupo erano lacci, trappole e buche scavate nel terreno; con l’evoluzione delle armi da fuoco tra ‘700 e ‘800 la “lotta ai nocivi” (gli animali considerati dannosi all’uomo) si perfezionò, alimentata anche da un importante commercio delle pelli.

E’ nella prima metà dell’800 che, con un regio decreto, si afferma nel regno delle Due Sicilie l’usanza di conferire premi per la cattura e l’uccisione dei lupi. L’entità delle somme corrisposte variava in base al sesso e all’età dell’animale, il pagamento dei premi era a carico dei comuni e l’uccisore doveva presentare al Sindaco la testa dell’animale, a cui venivano tagliate le orecchie per impedire che lo stesso lupo venisse presentato in più comuni allo scopo di riscuotere altri premi.
I lupari erano generalmente dei contadini che, nei mesi invernali, si dedicavano alla caccia al lupo per ricavare guadagno dai premi e dalle offerte della gente. Una volta ucciso l’animale, il luparo lo portava in paese a dorso di un mulo o di una bici, esponendolo come un trofeo e raccogliendo donazioni di cibo (pane, vino e formaggio) dalla gente meravigliata.

Agli inizi del ‘900 nel Parco Nazionale d’Abruzzo i premi vennero aumentati (150 lire per ogni lupo adulto, 50 per i cuccioli) e in soli dieci anni, dal 1923 al 1933, furono uccisi ben 209 lupi con veleni, fucili e trappole. Era addirittura l’Ente Parco ad acquistare tagliole e bocconi avvelenati (fialette di acido cianidrico) che rivendeva “a coloro che intendano dedicarsi a tale distruzione”.
Se nel Parco d’Abruzzo lo sterminio cessò nel 1958, nel resto d’Italia proseguì fino ad arrivare all’estinzione quasi totale della specie, come già accaduto in Europa.
Dopo la seconda guerra mondiale il numero dei lupi appenninici si era ridotto sempre più, fino a toccare il minimo storico, documentato nel 1972 da due studiosi, Luigi Boitani ed Erik Zimen, incaricati di eseguire la prima indagine italiana sulla situazione del Lupo appenninico.

L’operazione San Francesco
Promossa nel 1970 dal Parco Nazionale d’Abruzzo in collaborazione con il WWF, l’operazione “San Francesco e il lupo” fu ufficializzata diffondendo una bellissima foto del Lupo appenninico accompagnata da un detto degli indiani d’America: “Con tutti gli esseri, e con tutte le cose noi saremo fratelli”.
Era la prima campagna avviata a livello internazionale allo scopo di salvaguardare il lupo, un’impresa d’avanguardia, che si proponeva l’obiettivo di demolire la leggenda del “lupo cattivo”, diffondendo una corretta informazione sull’etologia di un animale rimasto fino ad allora sconosciuto. Solo ottenendo la collaborazione popolare sarebbe stato possibile avviare programmi specifici di conservazione, vietando tagliole, veleni e battute di caccia e risarcendo i pastori dei danni subiti. Attraverso il “Progetto Arma Bianca”, inoltre, fu incoraggiato l’impiego del cane da pastore, o mastino abruzzese, per la prevenzione degli attacchi alle greggi.

Furono incaricati i maggiori esperti al mondo di lupi, tra cui lo statunitense David Mech, lo svedese Erik Zimen e l’italiano Luigi Boitani. Mediante l’impiego di una metodologia sistematica che prese come riferimento un’area che si estendeva dai Monti Sibillini fino alla Sila, i ricercatori stimarono il numero complessivo degli esemplari rimasti in 100-110 al massimo, concentrati soprattutto nelle aree montuose dell’Abruzzo e della Calabria.
Tramite approfondite ricerche sul campo e con l’azione di divulgazione promossa dal Gruppo Lupo Italia e dal Centro di visita allestito a Civitella Alfedena, che divenne un polo di attrazione a livello nazionale e internazionale, si diede alle persone la possibilità di osservare i comportamenti e le abitudini di questi splendidi animali selvatici. Anche il turismo crescente nella zona portò numerosi benefici alla comunità locale facendo comprendere l’importanza della tutela del patrimonio naturale.
Una grande influenza sull’opinione pubblica fu esercitata del film “Morte di una leggenda”, proiettato in più parti d’Italia dal Gruppo Lupo; il film smentiva le credenze legate al mito del “lupo cattivo”, mostrando quanto fine e complessa fosse la vita sociale di un branco di lupi, predatori diffidenti e schivi che raramente rappresentano un pericolo per l’uomo.

Si giunse così, nel 1973, alla protezione totale della specie: in quell’anno fu emanato dal Ministro dell’Agricoltura e Foreste Lorenzo Natali un primo decreto temporaneo per la protezione triennale del lupo, che poi fu reso definitivo nel 1976 del suo successore Giovanni Marcora, che sancì il divieto di impiegare, per qualsiasi motivo, i bocconi avvelenati.
I risultati di questa politica di conservazione non tardarono a farsi sentire e, dopo appena dieci anni, il numero degli esemplari era già aumentato arrivando a circa 220-240 individui in espansione.
Negli anni ’90 nuove stime stabilirono il numero a circa 400 lupi, che stavano ripopolando zone come le Alpi Occidentali, dalle quali questi animali erano scomparsi da quasi un secolo.
Il successo dell’operazione San Francesco ha consentito al lupo di ripopolare l’antico areale appenninico fino alla Liguria; muovendosi per le Alpi Marittime, il Parco del Mercantour in Francia e le Alpi Occidentali, la popolazione è arrivata oggi a circa 600-700 individui, alcune stime parlano addirittura di 1000 esemplari presenti in tutto il territorio italiano.

Il futuro di una specie racchiuso in un mito: l’uccisione del “lupo cattivo”
Tutelato da normative internazionali, comunitarie, nazionali e regionali, oggi il lupo è scampato al rischio di estinzione, ma il caso di Navarre e di molti altri giovani lupi rinvenuti impallinati, avvelenati o morti in incidenti stradali (le tre principali cause di morte per questa specie animale), indicano come questo grande predatore sia ancora esposto a numerosi pericoli.
Si stima che ogni anno in Italia muoiano almeno più di 100 individui. Specifici programmi di conservazione della specie, come il Progetto Lifewolfnet, finanziato dall’Unione Europea o il Progetto Lupo avviato dal WWF, stanno tentando di ridurre i fattori che espongono il lupo a rischi elevati, come il bracconaggio, l’ibridazione, causata dall’accoppiamento con cani rinselvatichiti (con conseguente corruzione del patrimonio genetico del lupo) e il randagismo, che rappresenta una grande minaccia per la sua sopravvivenza.
La maggior parte dei danni alla fauna selvatica, infatti, è causata dai cani rinselvatichiti, che singoli o in branco, possono attaccare il bestiame; le loro aggressioni sono spesso confuse dagli operatori del settore zootecnico con quelle dei lupi, che sono così colpiti illegalmente con esche avvelenate, lacci e tagliole, strumenti che non solo causano una morte lenta e dolorosa, ma rappresentano un pericolo anche per tanti altri animali che abitano le zone montane.
Per evitare conflitti con gli allevatori, nelle regioni e nelle aree protette le perdite di bestiame vengono indennizzate; si cerca, inoltre, di sensibilizzare i pastori ad una corretta gestione delle greggi, mediante la creazione di ricoveri recintati elettrificati e l’impiego dei cani addestrati.
Le minacce nei confronti del lupo, dunque, non sono terminate, ed anche in presenza di leggi e programmi a sua tutela, questa specie è tuttora a rischio.
La sua storia ha ancora molto da insegnarci. Come sostiene Luigi Boitani (uno dei massimi esperti italiani e membro del Wolf Group dell’UICN) “accade così che per salvare il lupo dobbiamo prendere coscienza che se tra noi e lui c’è un disadattato non è certo il lupo. Esso, infatti, è riuscito benissimo ad adattarsi all’uomo, mentre gli uomini non sono riusciti a fare lo stesso nei suoi confronti. Per salvare questo animale, dobbiamo uccidere la sua immagine, quel lupo immaginario che, lungi dall’essere lo specchio di quello reale, è solo una nostra invenzione”.
E ancora oggi che è tornato, non possiamo permetterci di abbassare la guardia, il “lupo cattivo” è sempre in agguato.