“Futuro e competenze: la sfida della transizione ecologica”: è il titolo del convegno organizzato lo scorso 23 ottobre a Catania da Europe Direct, un’organizzazione non-profit che promuove la cittadinanza europea e il ruolo dell’Europa come grande madrepatria.

Come affrontare l’emergenza climatica, avviarsi verso nuovi modelli di sviluppo sostenibile per garantire un futuro alle nuove generazioni, questi alcuni degli argomenti trattari dagli esperti presenti che si sono confrontati sulle sfide di un nuovo mondo possibile.

Tra gli interventi di docenti universitari e documentalisti sulle comunità energetiche, la decrescita felice, il ruolo delle politiche Ue e la difficoltà di un’inversione di tendenza in Italia, anche un intervento di Tiziana Genovese, delegata OIPA di Catania, che durante il convegno ha affrontato la questione dell’alimentazione e dell’impatto ambientale degli allevamenti intesivi.

Il percorso verso la transizione ecologica non può essere percorribile senza un cambiamento dei nostri stili di vita, a partire dall’alimentazione.

 

ANIMALI E AMBIENTE

“Ambiente e animali, categoria quest’ultima in cui rientrano umani e non umani, sono un tutt’uno. La verità è che facciamo voli pindarici, abbiamo idee incredibilmente belle, ma nella nostra vita quotidiana quali azioni concrete siamo disposti a compiere? C’è poca consapevolezza, non si comprende come certi meccanismi siano legati gli uni agli altri e come basti poco per fare già dei grandi passi avanti — ha evidenziato Tizia Genovese.  “Bisogna difendere il cruelty free e la produzione di carne in vitro, non soltanto per tutelare il benessere degli animali. Quello che viviamo, infatti, è dovuto pure alle nostre scelte alimentari. Basti pensare che il 70% della biomassa degli uccelli è rappresentato dagli uccelli di allevamento, che il 60% della biomassa dei mammiferi è costituito dai bovini e dai suini di allevamento, il 30% dagli umani e il 4% dai mammiferi selvatici.

Gli allevamenti intensivi sono oggi i responsabili di una grandissima parte dell’emissione di gas e il 4% dei terreni sulla Terra è coltivato per la produzione di mangimi per animali”.

UN MONDO A METÀ

Il paradosso a cui siamo arrivati oggi giorno è quello di un mondo diviso a metà, dove in Occidente si muore per “troppo cibo” e dove nei paesi in via di sviluppo si muore per fame.

“Più di 820 milioni di persone non hanno cibo a sufficienza per sopravvivere, mentre, secondo la FAO il resto del mondo spreca 1 miliardo e 300 tonnellate di cibo commestibile ogni anno. A livello globale abbiamo una separazione tra chi spreca il cibo e chi non riesce a sopravvivere perché muore di inedia. Miliardi di uomini, donne e bambini sono in condizione di sovrappeso e obesità, mentre in altre zone del mondo a stento qualcuno sopravvive con il minimo che riesce a procurarsi”.

Ma contrariamente a quanto si sente dire, non è vero che non c’è cibo per tutti, perché stando ai dati “Un quarto della popolazione mondiale è in forma grave o moderata di insufficienza alimentare, nonostante le kcal prodotte sarebbero sufficienti a sfamare più del doppio della popolazione mondiale.
Nelle regioni più sviluppate il consumo di animali e derivati è al di sopra degli standard raccomandati per la salute e il benessere per l’individuo e per il pianeta; il consumo di carni rosse e delle elaborazioni provenienti dagli allevamenti intensivi, dove gli animali vengono alimentari in modo artificiale, favoriscono invece l’insorgenza di malattie cardiache, cancro, diabete.
I numeri ci stanno dicendo che qualcosa forse è al di fuori degli standard di normalità e noi dell’OIPA non lo diciamo più da animalisti ma da persona consapevoli dell’esigenza di un equilibrio tra ambiente, animali e umani”.

CONSUMO DEL SUOLO, SPRECO DI RISORSE IDRICHE, EMISSIONE DI GAS SERRA: L’EREDITÀ DEGLI ALLEVAMENTI INTENSIVI

Riuscire a sfuggire alla fame e ai danni della cattiva alimentazione non ci salva in ogni caso dai danni del cambiamento climatico. “Gli allevamenti intensivi e l’industria della carne sono tra i principali fattori di perdita della biodiversità: inquinano l’aria con l’emissione di gas serra, così come le acque e il suolo. L’industria zootecnica è inoltre tra le principali cause di spreco idrico, deforestazione e depauperamento del suolo.

Non bisogna per forza diventare vegani e vegetariani, basta orientarsi verso un’alimentazione consapevole, con l’obiettivo di ridurre sensibilmente il consumo di carne e latticini.

Secondo l’Onu, poi, lo sfruttamento intensivo dei suoli rende questi ultimi potenzialmente produttivi soltanto per altri 60 anni e un milione di specie animali e vegetali sono a rischio estinzione. Gli allevamenti intensivi devono essere trasformati in allevamenti rigenerativi che rispettino il benessere animale e il benessere del suolo, viceversa nessuna transizione è possibile. Nonostante in Italia si proceda a rilento, in alcune parti del mondo questo sta avvenendo, dimostrando che un’altra prospettiva è possibile”.