Cosa vuol dire, per un animale selvatico, vivere in gabbia la maggior parte della propria esistenza? Soprattutto dopo essere stato completamente cresciuto in cattività, vuoi perché fatto nascere appositamente per essere usato o vuoi perché preso fin dalla tenera età in qualche zoo; cresciuto lontano dal proprio habitat, senza la possibilità di stringere relazioni sociali con i propri simili, ma solo con delle persone che, tra sedute di addestramento a suon di botte e reclusione, ti insegnano degli assurdi numeri da riproporre di fronte ad una platea urlante. Sballottato da un luogo a un altro, costretto a viaggiare rinchiuso, semplicemente per arrivare in un altro posto, esibirti e via ancora.

Cosa vuol dire per un animale selvatico vivere in un circo, quindi?

La sensibilità delle persone su questo tema, la maggior parte fieramente ex spettatori dei circhi, sembra ormai sempre più convinta che condannare un animale a questa vita solo per costringerlo ad esibirsi sia una crudeltà inaccettabile, retaggio di una tradizione ormai passata.

A supportare questo sentimento popolare sono anche illustri scienziati, etologi, esperti del comportamento animale, veterinari e tanti altri. Tra questi riportiamo gli studi di Stephen Harris, professore di Scienze Ambientali dell’Università di Bristol, che, in collaborazione con altri autori, ha redatto moltissimi lavori sul benessere degli animali selvatici nei circhi: fu lui nel 2006 ad elaborare una relazione per la RSPCA (Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals), A rieview of the welfar of wild animals in circuses[1], a cui seguirono altre pubblicazioni ed infine nel 2016 una relazione per il Governo del Galles [2], intenzionato ad avere un’adeguata base scientifica per bandire l’uso dei circhi con animali, che costituisce la più grande ed ampia revisione scientifica mai effettuata sull’argomento. I risultati di questi studi sono chiari: reclusione forzata, separazione eccessivamente precoce dalla madre, assenza di relazioni sociali con propri simili, frequenti viaggi in condizioni inadeguate, oltre che addestramenti con metodologie stressanti, non riescono a garantire un adeguato benessere degli animali nel circo. La vita di un animale selvatico in un circo non è in grado di garantire le basilari esigenze di questi animali, che non hanno la possibilità di esprimere i loro comportamenti naturali e di frequente manifestano comportamenti e stereotipie indice di stress e malessere.

A sottoscrivere queste considerazioni sono anche stati moltissimi altri scienziati ed etologi, che nel rapporto dell’Eurogroup4Animals, hanno sottoscritto lo “Statement on Ethological needs and welfare of wild animals in circuses”[3], dal quale emerge che, nonostante gli animali selvatici vivano da generazioni in cattività, non hanno perso i loro bisogni e le caratteristiche comportamentali dei loro progenitori che vivono liberi e che, di conseguenza, le condizioni di detenzione nei circhi non sono adeguate. Dello stesso parere è anche la FVE (Federazione Veterinari Europei) e la FNOVI (Federazione Nazionale Ordini dei Veterinari Italia): tutti concordi nel sostenere non solo l’inadeguatezza delle condizioni di vita degli animali selvatici nei circhi, ma anche ulteriori considerazioni. È la FVE, infatti, a sostenere che “Oltre alle considerazioni sul benessere, l’uso di mammiferi selvatici nei circhi può apportare dei seri rischi alla salute animale, alla salute pubblica e alla sicurezza. Questi mammiferi selvatici possono causare dei danni fisici al pubblico, ai loro gestori e possono essere fonti di trasmissione di zoonosi”[4] (FVE, “Position on the use of Animals in travelling Circuses”, Eurogroup4Animals).

Non mancano certo le posizioni e gli studi che sembrano sostenere che, in fin dei conti, gli animali dei circhi non sembrano passarsela così male. Uno dei maggiori studi che i sostenitori dello sfruttamento degli animali nei circhi citano è lo studio “Animal in circuses and zoos: Chirons World?” elaborato dalla dottoressa Marthe Kiley-Worthingon nel 1990. E a quale risultato giunge questo studio? Qui la conclusione:

“Questo studio dimostra come il benessere degli animali nei circhi, giudicati su criteri fisici e psicologici, non sia così inferiore rispetto a quello di altri sistemi di detenzione degli animali come gli zoo, le stalle, i canili… Per questo è irrazionale prendere una posizione contro i circhi basandosi sull’idea che gli animali soffrano per forza di cose, a meno che non si prenda la stessa posizione contro gli zoo, le stalle, le scuderie, i canili, gli animali da compagnia e tutti gli altri sistemi che concernono la custodia degli animali da parte dell’uomo.”

Proprio questa dichiarazione, così fieramente sbandierata da parte dei circensi, mette in chiaro che qui stiamo davvero affrontando una battaglia che sovrasta le considerazioni scientifiche e che riguarda direttamente un altro piano, quello etico. Certo, gli studi in materia ricercano sono degli indicatori oggettivi e misurabili volti a identificare e definire comportamenti che possano permettere di parlare di “stress” o “benessere animale”. Una serie di movimenti stereotipati, infatti, come l’ormai noto movimento ripetitivo avanti ed indietro che alcuni felini selvatici mostrano nelle gabbie dei circhi o degli zoo, sono in questo senso indicativi di un evidente stato di malessere e stress. Proprio come negli zoo e nei canili, anche nei circhi gli animali mostrano questi sintomi. Ma è proprio questa presa di coscienza che dovrebbe portare non solo a bandire la loro presenza nei circhi, ma a riflettere sulle tutte le modalità di interazione che abbiamo con gli altri esseri viventi: davvero possiamo considerare accettabile prendere un cucciolo di un animale selvatico, strapparlo alla madre (già privata dalla vita in libertà da generazioni proprio per queste stesse ragioni) per poterlo imprintare sull’essere umano, solo allo scopo di poterlo addestrare a rendersi ridicolo per il divertimento di alcune persone? È davvero questa la bieca scusa che vogliamo usare per giustificare una tale crudeltà? Se per la sperimentazione animale sono arrivati a teorizzare il “salvataggio della specie umana” e se per gli zoo, invece, millantano “la conservazione della specie” come fine ultimo, possiamo tranquillamente definire le ragioni dei circensi così poco convincenti da essere davvero imbarazzanti. Come uno studio di numerosi psicologi ha dimostrato, non c’è nulla di educativo o pedagogico nel circo con animali, se non a veicolare un’immagine della natura come totalmente sottomessa all’umano, un trionfo antropocentrico sulla vita altrui, sull’indomabile animale feroce e selvatico.

E questa, ormai, ha fatto storia, proprio come, ci auspichiamo tutti, la faranno gli animali nei circhi.

[1] Qui l’articolo in lingua originale: https://cirkusybezzvirat.cz/wp-content/uploads/2018/11/Welfare-of-wild-animals-in-circuses-Harris-et-al.-2006.pdf

[2] Qui il rapporto in lingua originale:  https://www.ispca.ie/uploads/The_welfare_of_wild_animals_in_travelling_circuses.pdf

[3] Appendice 2 del rapporto Eurogroup 4 animals: http://www.eurogroupforanimals.org/wp-content/uploads/E4A-Circus_Report-Digital-OK-v2.pdf?utm_source=PDF&utm_campaign=CircusReport

[4] Appendice 1 del rapporto Eurogroup 4 animals: http://www.eurogroupforanimals.org/wp-content/uploads/E4A-Circus_Report-Digital-OK-v2.pdf?utm_source=PDF&utm_campaign=CircusReport