di Luca Spennacchio, formatore in ambito zooantropologico ed autore del libro “Canile 3.0”

“La situazione del randagismo nel sud Italia porta spesso a vedere come unica soluzione quella di “spostare” quanti più cani possibili nel nord Italia, ma quali rischi nasconde questo approccio?”

Comincio col dire che “si è sempre a Sud di qualcun’altro”, soprattutto quando si parla di cani, a quanto pare. Sembra che tanto più si vada a Sud del mondo tanto peggio sia il rapporto uomo-animali non umani e così, mentre fiumi ininterrotti di cani viaggiano dal sud verso i canili del nord Italia, altrettanto avvenga poi dal nord della penisola verso l’Austria e la Germania, su, sempre più a Nord. Spostare un problema non significa affatto affrontarlo ne minimamente intaccarne l’entità.
Detto ciò una delle conseguenze più banali di questo fenomeno è che i canili del nord si riempiano di cani diciamo pure non autoctoni, e questo perché in parte il fenomeno del randagismo nel nord Italia si è convertito per lo più in quello di rinuncia di proprietà, che ha comunque un’entità inferiore rispetto al primo, liberando così, in un primo momento, posti in canile. Ma dato che il “problema” non è affrontato, ma semplicemente “spostato”, questi posti liberi si riempiono in un batter d’occhio, spesso con cani che non hanno alcuna possibilità di essere inseriti in una famiglia che vive in un ambiente iper-urbanizzato come, per esempio, la città di Milano; cani con delle particolari caratteristiche che rendono molto frustrante il lavoro dei volontari e delle associazioni che se ne devono prendere cura.

“Quali sono i parametri che è necessario prendere in considerazione per capire se un cane, cucciolo o adulto, può realmente trovare una collocazione felice ina una realtà così diversa da quella di origine?”

Non è facile distillare le caratteristiche che di un cane per estrarne alcune che rappresentano il sine qua non per una vita felice in un ambiente estraneo a quello d’infanzia. Certamente una buona socialità e flessibilità possono enormemente aiutare in un processo di adattamento drastico come quello preteso nei confronti dei cani cresciuti nelle estese campagne dell’Italia meridionale alla complessità e frenesia delle città. La prosocialità di un cane, ossia la sua disposizione all’interazione con l’uomo, è importantissima non solo perché rende la gestione dello stesso meno problematica, ma nel rispetto del suo benessere: un cane che abbia passato i primi mesi di vita senza alcuna socializzazione con l’essere umano, e che magari ha anche vissuto pessime esperienze negli sporadici incontri con esso, non troverà alcun benessere nel vivere in una città caotica e sovraffollata. Diviene così molto importante comprendere le disposizioni di ogni singolo individuo prima di optare per un viaggio della speranza verso nord. Difficile descrivere in poco spazio come comprenderle, consiglio di leggere con attenzione il linguaggio del cane in particolari situazioni di vicinanza con l’uomo, di contatto, di interazione. Naturalmente tutto ciò dopo un periodo di adattamento alla nuova situazione, infatti una valutazione fatta nell’immediato periodo successivo ad una “cattura” e conseguente inserimento in un canile ha molte probabilità di essere poco veritiera.

“Posto che le adozioni in altre regioni possono essere un modo efficace per dare una speranza in più ad alcuni cani, come andrebbero gestite?”

Se tutti quanti parlassero la stessa lingua, ovvero se tutti avessero le medesime competenze e una formazione similare, e se la questione randagismo fosse affrontata seriamente con una visione a più ampio raggio con un progetto realistico e degli obbiettivi chiari, tutto sarebbe immensamente più semplice e le azioni di tutti, coordinate da linee guida concordate all’unanimità, sarebbero molto più efficienti ed efficaci a favore dell’unico vero interessato, ossia il cane. Per quanto mi concerne la costituzione di tavoli di confronto per analizzare il problema e pianificare strategie a breve e a lungo termine è il passo fondamentale da fare in quanto le realtà esistenti sul territorio nazionale sono quanto mai eclettiche e difficilmente comprensibili da coloro che non le vivono direttamente.

“Qual è – e quale dovrebbe essere – il ruolo del canile in questo processo?”

I canili dovrebbero essere dei luoghi di passaggio, dei centri referenziali per l’informazione, la formazione e il confronto, delle zone franche nelle quali pianificare azioni e interventi di varia natura, a partire in primis da una indispensabile sensibilizzazione della comunità e di un processo di incremento culturale sul rapporto con gli altri animali, cani in particolare. Va da sé che se si vuole che dal canile si diffonda cultura è necessario che in esso la cultura sia di casa.