Intervista al Dott. Pierluigi Raffo – di Claudio Calissoni

Affrontare il buio è sempre stato un momento difficile per noi umani. Fin dalle nostre origini tutto ciò che era poco visibile ha rappresentato il timore, l’indesiderabile se non il Male stesso. Chi lavora nei canili, e chi si occupa ogni benedetto giorno di recuperare cani dalla strada, sa molto bene dove inizia il buio del suo lavoro e, purtroppo, anche dove il più delle volte questo buio finisce. Questa area priva di luce, incerta e terrificante, in cui i peggiori timori diventano una realtà tangibile, rappresenta la “zona oscura” nel rapporto con il cane, quell’area in cui non è più il nostro miglior amico ma diventa, al contrario, una terribile minaccia, potenzialmente mortale. La “zona oscura”, il buio, nasce dalla selezione di determinate razze canine, quindi dalla nostra stessa mente, spinta in certi casi fino alla contorsione se non alla follia. Siamo noi, come al solito, ad esserci creati e a crearci il nostro stesso male, un vero e proprio talento naturale che caratterizza la nostra specie. Perché, tanto per iniziare a mettere le mani in questa “zona oscura”, se poteva ai primi del novecento essere comprensibile la selezione di un rottweiler, cane da guardia e da difesa dei macellai di Rottweil, o di un dogo per i cacciatori di puma delle sconfinate pampas argentine, resta del tutto inspiegabile la ragione per cui oggi abbiamo bisogno di continuare a selezionare e riprodurre, oltre alle suddette razze, cani di taglia media, intorno ai 20-30 kg, dotati di una forza spaventosa, di una resistenza alla fatica e al dolore impensabili perfino per il più coriaceo degli umani, forniti di una dentatura micidiale, il tutto condito da un’indole guerrafondaia, geneticamente programmati per aggredire, ferire ed uccidere altri animali. Sì, parlo dei famigerati pitbull.

Vietati ormai da molti anni in numerosi stati dell’Unione Europea, dove non possono neppure entrare in transito, i pitbull sono una delle razze più diffuse nel Sud del nostro Paese e, di conseguenza, più presenti nei canili del Nord. È ben noto a tutti come il flusso costante di animali trascurati, abbandonati e maltrattati dalle regioni e provincie del nostro meridione sfoci ormai nei canili del Nord, dopo disperati tentativi di adozione, spesso maldestri, organizzati da quel volontariato militante, oppresso dall’orrore del quotidiano, per cui qualsiasi soluzione che tolga quei cani dalla strada o da una gabbia lurida, è preferibile alla loro condizione drammatica.

Salvo poi ricrearla analoga, se non peggiore per i traumi e lo stress psichico subito nel frattempo, qualche centinaio di km più a nord.

Tra questi animali abbandonati al loro destino tra Napoli e Palermo spiccano, per la loro presenza crescente, proprio queste razze “forti”, che in queste lande vengono utilizzate – neanche a dirlo – per scopi criminali (leggi combattimenti) e poi buttati via come fazzoletti usati. Un’eutanasia costa troppo. Molto più facile e veloce scaricare lo sconfitto di turno in qualche angolo, buio anche questo, pur sapendo che l’inaudita resistenza fisica di questi cani li porterà a sopravvivere fino a diventare degli zombie, esseri ridotti a brandelli che vagano disperati fino a morire di stenti o ad incontrare la mano pietosa di qualche volontario.

E così i rifugi e i canili si riempiono sempre di più di doghi argentini, cani corso, rottweiler, pitbull e tutti i loro incroci. Cani che nessuno vuole, che nessuno si sognerebbe neppure lontanamente di adottare, proprio perché stanno in quel buio che noi tanto temiamo, cani destinati a marcire nel loro box per anni e anni. Come uscire dal buio?

C’è una persona che ci può aiutare a capirlo, il Dott. Pierluigi Raffo. Lo raggiungiamo telefonicamente nel tardo pomeriggio di una domenica assolata trascorsa, come di consueto per lui, in canile ad aiutare qualche “soggetto particolare”.


Pierluigi Raffo, laurea all’Università di Pisa in Tecniche di Allevamento del Cane di Razza ed Educazione Cinofila, due master e due corsi di perfezionamento in educazione e relazione uomoanimale, Istruttore e Riabilitatore Cinofilo con una carriera ed una fama riconosciute da tutto il mondo cinofilo, oggi responsabile dell’associazione Arcadia Onlus con cui si occupa prevalentemente di formazione e riabilitazione di cani bisognosi. Pierluigi Raffo dirige da anni il Parco Canile di Rovereto e più recentemente il Parco Canile di Milano, quest’ultimo in stretta collaborazione con la nostra associazione; organizza e gestisce, inoltre, percorsi formativi in molti canili d’Italia e valuta circa 1500 cani all’anno.


“Il randagismo è in crescita costante, probabilmente proprio a causa della migrazione di cani dal Sud a Nord, ma quel che più colpisce è che aumentano in modo vertiginoso le razze, peraltro di difficile gestione, di tipo bull e molossoidi, che oggi costituiscono quelle prevalentemente presenti nelle nostre strutture. Aumentano, in maniera altrettanto esagerata, anche gli episodi di morsicature e uccisioni di cani in città, solitamente causate da queste stesse razze o da loro incroci. E questo nonostante sia stata prorogata per l’ennesima volta, e quindi in vigore anche in questo momento, l’ordinanza Fadda”.

Il 6 agosto 2013 viene, infatti, promulgata un’Ordinanza del Ministero della Salute a firma dell’allora Sottosegretario Paolo Fadda “Ordinanza contingibile ed urgente concernente la tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani” che, come tutte le ordinanze, non ha valore dispositivo, ma rappresenta una base legislativa che, qualora venga recepita in dispositivi di legge e/o regolamenti di ordine locale (regionale, provinciale e comunale) può assumerne tutte le caratteristiche. Pochi, pochissimi Comuni l’hanno fatto finora, nonostante l’Ordinanza contenga le linee guida per prevenire, contenere e gestire le situazioni critiche legate alla presenza di cani problematici.

“Si parla di patentino obbligatorio per tutti i cittadini, proprietari o conduttori di cani, e non solo quelli che siano stati coinvolti in episodi di aggressione. La domanda principale è: sono i molossi il vero problema? O è l’ignoranza dei proprietari dei cani piccoli che trasformano i loro animali in “prede appetitose” che vanno a stimolare in modo esagerato i molossi? Perché un cane grande non si dovrebbe difendere da uno piccolo? In fondo è normale una reazione istintiva che, se rapportata alla potenza del loro morso, produce inevitabilmente danni gravissimi se non la morte del cane più piccolo.”

Raffo prosegue mettendo in dubbio l’adeguatezza del proprietario rispetto al suo cane:

“Una condizione non sempre presente come, ad esempio, nel caso dei due doghi di Mascalucia (quelli che il 16 agosto 2016 uccisero un bimbo di 18 mesi – n.d.r.) e che ora abbiamo qui a Rovereto completamente riabilitati dopo un lungo percorso.” Ricordiamo, infatti, che in quel caso la madre patteggiò una reclusione di 18 mesi per omicidio colposo “Ma, mi chiedo, perché bisogna arrivare a tanto per dare voce a questi animali? perché dobbiamo parlarne solo quando accadono questi episodi drammatici? perché non ne parliamo con uguale intensità quando lavoriamo per preparare i cani da ricerca, cani antisommossa, cani da valanga, cani guida per ciechi? Alla fine il cane è un compagno di vita e perfino i pittbull terrier sono stati, e sono, impiegati negli USA come cani da pet therapy all’interno delle carceri. Un modello in controtendenza rispetto all’Italia, certo. Questo accade perché molto probabilmente è la nostra stessa cultura sociale che ci spinge ad avere una certa visione, per cui solo certe fasce e tipologie di persone vanno ad approcciarsi a questi cani.
È tuttavia, arrivato il momento di cambiare questa situazione, iniziando a dare, come associazioni, una risposta forte e congiunta. Bisogna innanzitutto chiedere che per certe tipologie di cani venga regalato dalle istituzioni o associazioni coinvolte un percorso educativo: vuoi un dogo argentino o un pitbull o un cane corso? Perfetto! ti obbligo, però, a conseguire il patentino che ti abiliti a gestirlo, un patentino obbligatorio che ti regalo!” Fermi restando i motivi di esclusione previsti dall’ordinanza Fadda, il percorso previsto da questa deve diventare Legge”.


Ordinanza Fadda, art.4 : E’ vietato possedere o detenere cani registrati ai sensi dell’articolo 3, comma 3:
a) ai delinquenti abituali o per tendenza;
b) a chi e’ sottoposto a misure di prevenzione personale o a misura di sicurezza personale;
c) a chiunque abbia riportato condanna, anche non definitiva, per delitto non colposo contro la
persona o contro il patrimonio, punibile con la reclusione superiore a due anni;
d) a chiunque abbia riportato condanna, anche non definitiva o decreto penale di condanna,
per i reati di cui agli articoli 727, 544-ter, 544-quater, 544-quinques del codice penale, per
quelli previsti dall’articolo 2 della legge 20 luglio 2004, n. 189, e dall’articolo 4 della legge 4
novembre 2010, n. 201;
e) ai minori di 18 anni, agli interdetti e agli inabili per infermità di mente.


“Per arrivare a questo bisogna coinvolgere anche gli educatori cinofili, chiedendo che ciascuno di loro si assuma in carico, altrettanto gratuitamente, almeno un cane impegnativo: se così fosse i canili inizierebbero a svuotarsi! Certo parliamo di educatori con capacità accreditate e certificate, che sappiano interfacciarsi con i medici veterinari comportamentalisti, che sappiano redigere in modo competente una scheda di valutazione prima e dopo il percorso intrapreso con cane e proprietario e, semplicemente, che siano in grado di insegnare ad usare bene la museruola. Sembra una banalità, ma verso l’uso della museruola si incontrano delle resistenze ingiustificabili quanto enormi”.

La museruola, che se inserita con il metodo corretto non implica alcun trauma per il cane, è da moltissimi considerata come una sorta di vergogna, quando in realtà permette ai cani, a tutti i cani, di affrontare situazioni in cui è obbligatoria (mezzi di trasporto pubblico, ad esempio) e assicura una ancor più grande serenità ai cani che hanno la tendenza a finalizzare alcune loro azioni mordendo, ai loro proprietari oltre che agli eventuali “oggetti” della suddetta finalizzazione.

“Abbiamo riscontrato che tutti i cani che hanno cagionato danni a persone hanno grosse conflittualità intraspecifiche (con i loro simili – n.d.r.) e devono obbligatoriamente apprendere e rielaborare una capacità comunicativa diversa dal morso. La museruola li costringe a scegliere altre strategie, che non prevedano l’uso della bocca. Allo stesso modo la museruola permette al proprietario del cane che ha morso di non caricarlo d’ansia. Ma dire ad una famiglia che possono adottare un cane a condizione che gli mettano la museruola, purtroppo, produce l’immediato rifiuto di quel cane, che così diventa progressivamente inadottabile”.

Per concludere, Raffo sostiene che

“su questo tipo di cani vadano date al più presto risposte forti ai cittadini, risposte che costituiscano baluardi di educazione civica, che alimentino cultura e rispetto, partendo dalla volontà di creare una rete informativa efficiente, costituita da associazioni di protezione degli animali, educatori, medici veterinari ed enti locali in stretta sinergia, per non parlare poi delle sterilizzazioni e della gestione del terrirorio al Sud, ovviamente un capitolo a parte anche se imprescindibile per ottenere risultati concreti. Senza queste premesse, tutti i cani appartenenti a queste razze, che stanno popolando in modo ingravescente i canili del Nord, non avranno alcun futuro. Ad oggi tra Milano e Rovereto Raffo mi parla di un buon 30% di ospiti tra rott, pitt, doghi e corsi.”

Lasciamo il dottor Raffo a Rovereto, al suo canile modello, diventato ormai un punto di riferimento ed un importante centro di eccellenza a livello nazionale, recentemente premiato con uno dei riconoscimenti più importanti a livello europeo, il premio EMAS (Eco-Management and Audit Scheme – https://bit.ly/2suYdYK).

Dal capolavoro letterario di Harper Lee, “Il buio oltre la siepe”, vincitore del premio Pulitzer per la narrativa nel 1961, è stato tratto uno splendido film, a sua volta vincitore di 3 premi Oscar. Si narra, nell’Alabama del 1932, la storia di Atticus Finch, un giovane e pacifico avvocato, vedovo, padre di due figli (Jem e Scout), di un loro vicino di casa invisibile, “strano” ed asociale, considerato malato di mente (Arthur “Boo” Radley) e di un ragazzo di colore di nome Tom Robinson, ingiustamente accusato di violenza carnale da un rozzo ed abbietto agricoltore (Bob Ewell). Grazie anche all’intraprendenza della figlia Scout, il flemmatico ma granitico Atticus dimostrerà in tribunale l’innocenza di Tom, anche se la giuria, fortemente condizionata da valutazioni di natura razziale, lo condannerà nonostante la palese non colpevolezza. Tom sarà ucciso poco dopo a fucilate da un secondino, mentre tenta di scappare dalla prigione, non sentendosi più in grado di attendere i tempi per il processo di appello. La chiave di volta del film, fino a qui già emblematicamente straordinario, e il parallelismo ancor più calzante che lo collega alle storie di questi poveri cani, sarà la scena in cui il vero mostro della vicenda, Bo Ewell, stupratore della propria figlia diciannovenne, cercherà di uccidere i figli di Atticus per vendicarsi di essere stato da lui pubblicamente svergognato durante il processo. Jem e Scout vengono brutalmente assaliti nel bosco, ma saranno salvati da uno sconosciuto, che ucciderà Bob e permetterà ai ragazzi di tornare a casa sani e salvi. L’eroe altri non è che Boo il “pazzo”, il reietto, l’uomo che abita “oltre la siepe”, quello da cui bisogna stare lontani, il diverso di cui tutti i bambini hanno paura. Boo ogni giorno osservava in silenzio, nel buio del suo atroce isolamento, Jem e Scout giocare davanti alla sua casa, fino al punto di affezionarsi e di considerarli i suoi unici amici. E per gli amici, quelli veri, si è pronti a sacrificare anche la propria vita. Preventivamente muniti di fazzoletti, vale decisamente la pena non perdersi la scena finale del film (https://bit.ly/2xDi3pG). Dietro alle sbarre, nei box più dimenticati, non c’è il buio. C’è un amico con un cuor di leone, pronto a dare la sua vita per noi. Non scordiamolo più.