Durante le festività natalizie ci sentiamo tutti più buoni e generosi: è il momento in cui corriamo ad acquistare regali per nostri cari e ci mostriamo più solidali e caritatevoli nei confronti dei meno fortunati e più bisognosi. Natale è anche il momento in cui ci mettiamo a tavola con i nostri parenti e amici per condividere affetto e calore. Ma mentre manifestiamo gratitudine per le persone che abbiamo intorno, fermiamoci un attimo a guardare nel nostro piatto.

Il Natale non è un’occasione felice per gli animali. Sulle nostre tavole imbandite saranno orgogliosamente serviti i piatti tipici della tradizione, come capponi, oche, tacchini e cotechini. Gli arrosti, gli insaccati, i ripieni saranno forse gli ospiti più attesi dei pranzi e delle cene. Ospiti sì, ma non commensali. Vittime, semmai, animali che non hanno solo avuto la sfortuna di essere uccisi e divorati in nome degli usi e dei costumi umani, ma che nella loro breve vita hanno subito le peggiori torture ed inimmaginabili tormenti.

Quando ci serviranno il cappone ancora fumante decorato da cipolle e patate, ricordiamoci che quel pezzo di carne era una volta un pulcino. Un esserino innocente che è stato cresciuto al buio perché la carne risultasse più tenera, che è stato messo in una minuscola gabbia perché non si potesse muovere ed ingrassare più in fretta. Che è stato castrato perforandogli l’addome per estrarre i testicoli ed infine legato per le zampe e appeso a testa in giù per tagliargli la gola. Riflettiamo sul fatto che siamo stati noi a commissionare questa brutalità, pagando l’allevatore per portarci a casa una carcassa da esibire con vanto.

Più di 150 miliardi di animali vengono uccisi ogni anno per finire nelle nostre pance, oltre 700 milioni in Italia. Gli allevamenti intensivi sono veri e propri luoghi di tortura dove gli animali sono talmente stipati che non possono muoversi e si feriscono tra di loro. Sono imbottiti di cibo scadente e ricco di antibiotici per farli ingrassare nel minor tempo possibile. Moltissimi non raggiungono neanche il momento della macellazione, ma muoiono a causa delle infezioni, delle malformazioni o uccisi dai conspecifici nella lotta per sopravvivere.

E se pensiamo di avere la coscienza pulita perché abbiamo acquistato la carne da una piccola azienda agricola o direttamente dal contadino dovremo ricrederci. I metodi “artigianali” di allevamento non sono meno brutali: oche inchiodate al pavimento, stalle senza finestre, polli e galline con il becco spuntato per non ammazzarsi a vicenda. Per non parlare delle condizioni sanitarie, che spesso non rispettano neanche gli standard minimi di pulizia e igiene. Poi, quando sta per arrivare il momento della vendita, gli animali vengono ammazzati a mano, uno ad uno, senza stordimento e senza anestesia, morendo, ancora coscienti, nell’agonia, circondati dagli altri che ascoltano le loro ultime strazianti grida aspettando nel terrore il loro turno.

Non vi è alcuna differenza tra un allevamento industriale ed uno casalingo. In entrambi i casi, non vi è alcun rispetto per la vita e per il dolore, ma solo orrore. Non nascondiamoci dietro ad obsolete tradizioni, prendiamo coscienza delle nostre azioni e mobilitiamoci per il cambiamento. Non limitiamoci alla sfera umana, celebriamo la vita tutti, soprattutto dei più deboli e invisibili, di tutte le specie. Solo così potremo sentirci davvero in pace con noi stessi e con il mondo.

Quest’anno, a Natale, scegli un menù senza ingredienti di origine animale: invece di servire a tavola un’altra porzione di crudeltà, porta un vero messaggio di amore e compassione.

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